Che nel mondo del lavoro, specialmente in Italia, esista una grandissima discriminazione a carico delle persone transgender non è più un segreto da moltissimo tempo.
Più o meno da quando l’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) ha pubblicato i primi, e i più allarmanti dati relativi alla discriminazione delle trans nel mondo del lavoro evidenziando come fosse una vera e propria guerra tra i datori del lavoro e le persone transgender.

Laddove il lavoro dovrebbe essere un valido motore per l‘integrazione sociale e l’unione dei due mondi (il mondo del lavoro e il mondo trans), esso in Italia rappresenta una grandissima linea di divisione e discriminazione.
Linea per colpa della quale molte delle persone trans sono rimaste fuori dal processo d’integrazione e sono state volutamente emarginate.

Le esperienze delle transex italiane con il mondo del lavoro sono, insomma, estremamente limitate e negative: una condizione, questa, che bisogna superare per allinearsi ad altri paesi dell’Occidente.

IL MONDO DEL LAVORO E IL MONDO TRANS

Il rapporto tra il mondo transgender e quello del lavoro ancora oggi resta controverso e difficile, in quanto cerca di avvicinare stili di vita e atteggiamenti spesso diversi.

Secondo lo studio effettuato nel 2002 (Casiccia – Saraceno), proprio nei contesti prettamente lavorativi nascono le discriminazioni maggiori. Ciò che ne deriva è caratterizzato dalla difficoltà d’accesso a un mercato di lavoro che ancora oggi tende a rigettare il diverso, quando non gli è conveniente assumerlo in termini di guadagno.

I motivi alla base sono spesso gli stessi: conservazione, ignoranza a proposito del mondo transgender, ma anche un innato familismo che caratterizza soprattutto il mondo del lavoro in Italia meridionale.

I vecchi integralismi, quindi, ma anche le nuove tendenze alla discriminazione del diverso, sono i meccanismi alla base che impediscono alle trans di effettuare un corretto inserimento nel mondo di lavoro.

A tutto questo si aggiungono le particolarità prettamente italiane: l’inadeguatezza culturale e storica dell’Italia nel riconoscere stili di vita diversi da quelli che, anche per via d’influenze religiose, vengono considerati come socialmente accettabili.

Solitamente la “fase” discriminatoria si manifesta subito ossia già durante il colloquio di lavoro. La persona transgender viene subito identificata come tale per via del suo aspetto, dei suoi documenti oppure a causa delle sue tendenze.

Il grande problema in questo caso riguarda proprio i documenti di riconoscimento che spesso non sono conformi all’identità della persona, anche se si tratta della stessa persona.

Inoltre esiste un solido problema a livello culturale: quello di associare il concetto di transgender alla prostituzione.

Proprio quest’apparenza, secondo lo studio di Marcasciano e Di Folco nel 2001, rappresenta uno dei principali ostacoli all’entrata delle trans nel mondo del lavoro.

Per dirla in modo semplice: una persona transgender difficilmente riuscirà ad avere il posto nel mondo del lavoro, anche se è onestà, con le competenze adatte e le caratteristiche giuste.

Il mondo del lavoro e il mondo trans, insomma, non sembrano andare d’accordo… per lo meno non ancora.

In secondo luogo la discriminazione delle transgender nel mondo del lavoro si basa sulla visibilità stessa del trans. Difatti, la condizione delle trans non può prescindere dal manifestarsi in luoghi pubblici. Questa visibilità ha, ovviamente, delle grandi ricadute su una vasta gamma degli aspetti della vita, a iniziare dal rapporto sentimentale, per finire con la vita lavorativa.

Il rischio di discriminazione, quindi, aumenta in modo progressivo con il manifestarsi della propria condizione di trans (anche questo aspetto è stato più volte chiarito e confermato da numerosi studi svolti in merito).

Basti pensare a quei casi in cui la persona esegue il coming out subendo, quindi, le ritorsioni della società e in particolare dai datori di lavoro, colleghi, management e persino altre persone simili.

La discriminazione nei confronti delle trans non si manifesta mai in modo chiaro, nitido e lucido a causa delle normative italiane che tutelano le persone contro le discriminazioni relative all’identità di genere. Al momento dell’assunzione e durante il rapporto lavorativo infatti la discriminazione non sarà mai abbastanza manifesta da poter essere sanzionata. Pertanto non potrà essere preso alcun provvedimento sanzionatorio a carico del datore di lavoro che discrimina, entro i limiti di legge, il lavoratore sulla base della sua identità di genere.

Nella stragrande maggioranza dei casi la discriminazione viene mascherata da dei pretesti legali.

Le discriminazioni sono spesso indirette, tant’è che mai le persone con l’identità di genere diversa da quella attestata vengono allontanate per questo motivo. Si cerca sempre di dare all’allontanamento un aspetto legale e giuridico che non possa far sorgere alcun dubbio sul vero motivo del licenziamento.

Lo stesso accade anche durante i colloqui di lavoro, che spesso vanno incontro a un esito negativo non perché il candidato non sia capace di svolgere determinate mansioni, ma per via della sua identità di genere.

Nemmeno con la trasformazione del lavoro e l’insorgere di un mondo lavorativo ancora più individualizzato e autonomo, nonché flessibile, il mondo del lavoro e il mondo trans sono giunti a un punto comune.

Tutt’altro: le persone transgender sono svantaggiate ancora di più. Con le nuove regole che regolano il mondo del lavoro, gli impiegati che appartengono a gruppi sociali svantaggiati vengono discriminati maggiormente.

Per evitare che questo accada, le persone transgender sono portate a nascondere ancora di più la loro vera identità di genere.

Tutto, pur di salvare la carriera o la stabilità di un posto lavorativo che altrimenti vacillerebbe.

A tutto questo si aggiungono le diffuse disinformazioni a carico delle persone transgender. Disinformazioni che spesso causano aggressività, imbarazzo ed equivoci che talvolta sfociando anche nella violenza.

Senza trascurare anche il social labelling, ovvero le etichettature sociali che avvengono a carico delle persone transgender. Queste, sempre negative, possono presto trasformarsi in una costante pratica d‘inner labelling, ovvero le auto-etichettature. Da questo deriva uno scarso benessere, una rapida diminuzione dell’autostima e quindi una scarsa fiducia nelle proprie capacità.

Tutto questo rappresenta soltanto la base per quel che è la conseguenza: il graduale allontanamento dal mondo del lavoro.

Bisogna prendere in considerazione anche il quadro legislativo a tutela delle persone transgender.

In tutta l’Unione Europea è ancora oggi molto diversificato e frammentato. Questo dimostra come la tutela delle persone transgender sia, tutt’ora, una pratica alquanto complessa che richiede la piena attenzione d’istituzioni ed enti radicalmente diversi.

Se ne devono occupare, insomma, non solo i sindacati e parti politiche isolate, ma anche tutti coloro che fino a ora hanno trascurato questo mondo.

Ancora oggi non esiste un ente specifico, in Italia come in Europa, che si prenda la briga di esaminare e combattere per i diritti delle persone transex nel mondo del lavoro.

Sebbene avvengano più frequentemente rispetto al passato, mancano comunque gli impegni e le iniziative rese diverse. Inoltre le tutele promosse sono state accolte solo formalmente dalla Conferenza Europea dei Sindacati e dalla Segreteria per le Politiche Sociali.

Anche questo ha permesso l’apertura degli sportelli di consulenza per le lesbiche, i gay e le persone transgender presso le principali Camere del Lavoro nelle grandi città italiane come Genova, Bologna, Torino e Milano.

Sono dei passi in avanti, sì, ma ancora pesantemente insufficienti per riequilibrare la situazione venutasi a creare nel mondo del lavoro in Italia.

Del resto cambiare il sesso e dare una svolta alla propria identità di genere non rappresenta che il primo passo verso il cambiamento vero.

Solo dopo ciò inizia la vita realmente difficile, quella con cui bisogna fare i conti: la realtà italiana. Perché se trovare un lavoro è molto difficile se si è transgender, riuscire a mantenerne uno è ancora peggio. Questo poiché il cambio di sesso coinvolge sempre una grande maggioranza di persone che non vogliono avere niente a che fare con una trans.

I problemi sono radicalmente diversi a seconda della condizione e in alcuni casi può persino essere più difficile trovare un lavoro nuovo piuttosto che riuscire a mantenere quello vecchio.

Secondo le statistiche dell’ISTAT, sono più del 20% le transgender che subiscono maltrattamenti di vario genere.

Non si parla solo del licenziamento e della conseguente perdita del posto di lavoro, ma anche della diffidenza dei propri colleghi e di altri problemi.

Con il tempo, se non si supera la causa del problema, le problematiche relazionali si appesantiscono e diventano sempre più evidenti diventando anche dei conflitti più o meno violenti. Il periodo di transizione è davvero speciale in quanto proprio in questo periodo le problematiche relazionali raggiungono il loro culmine.

Lo spettro di reazioni delle altre persone in questo periodo spazia dalla violenza fisica, passando per l’insulto e finendo con la semplice irrisione.

A tutta questo si aggiunge anche un’altra condizione lavorativa particolarmente accentuata nel caso delle transgender: la perdita di mercato.
Com’è naturale aspettarsi, una persona che cambia sesso va incontro anche a una rapida diminuzione delle vendite.

Basti pensare ai casi in cui a cambiare il sesso sono i gestori delle macellerie, gelaterie o altri negozi. Il cambio di sesso causa il rifiuto, l’allontanamento anche di quei clienti che con il tempo si era fidelizzati. Tutto questo, ovviamente, si traduce sulle entrate del negozio o dell’attività.

Il disagio iniziale dovuto al cambio di sesso può essere superato in quei casi, in cui le parti in causa, domanda e offerta, siano adeguatamente preparati alla situazione.

Inoltre è possibile che venga a manifestarsi la cosiddetta cancellazione delle competenze: la valutazione dell’offerta viene offuscata da quel cambio d’identità, per così dire.

Le reazioni diventano ancora più accentuate se a effettuare il cambio di genere è un lavoratore scolastico. Un cambio del genere potrebbe non solo portare il lavoratore ad abbandonare il posto di lavoro volontariamente, ma anche spingere gli studenti a lasciare il percorso di studi e/o trasferirsi in un’altra istituzione scolastica o universitaria per via del rifiuto.

Ciò che ne deriva è un basso livello di educazione scolastica, la costante paura di perdere il posto, ma anche di venire rifiutati provocando l’allontanamento dell’altro.

Conclusione
Come si è visto, insomma, i motivi alla base del rifiuto sono quasi sempre gli stessi: diffidenza, sospetto, paura di venir giudicato, un continuo conflitto interiore e lo scompiglio emozionale.

Il tutto non solo nelle altre persone, ma anche interiormente, vivendo una vita che molto spesso somiglia a un vero e proprio dramma. Le conseguenze di questi sentimenti sono spesso le stesse: l‘isolamento, l’auto-colpevolizzazione, l’auto-esclusione, il crollo dell’autostima.

Ovviamente, un individuo forte sa come reagire a tutti questi “colpi” e saprà condurre una vittoriosa battaglia, anche in sedi legali, per riconquistare ciò che di diritto è suo.

Tuttavia ancora oggi sono tantissime le persone transgender deboli psicologicamente che necessitano di una tutela legale, di qualcuno che possa tutelarle non solo dai pericoli del lavoro stesso, ma anche dal mobbing che sempre più frequentemente si manifesta in una società ancora profondamente conservatrice, religiosa e tradizionale come quella italiana.

L’avvicinamento del mondo del lavoro e il mondo trans è un evento che deve avvenire obbligatoriamente e alleviare le sofferenze a numerosissime persone.